Yangon

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Shwe Da GonDopo circa 12 ore di volo con uno scalo di un paio d'ore a Doha (notevole il Duty Free), atterriamo di prima mattina a Yangon, la capitale birmana nota un tempo con il nome di Rangoon. Ci attende la guida che ci terrà compagnia per il resto del tour, Zaw Win (soprannominato talvolta JohnWayne per l'assonanza vocale del nome). Ex "commerciante" di strada (un banchetto di pollame) all'apertura della Birmania al turismo ha deciso di rimboccarsi le maniche, di studiare una lingua (sei mesi di corso intensivo di italiano) e di "laurearsi" (così chiamano chi finisce gli studi superiori) riuscendo a farsi assumere come guida turistica e cambiando la sua vita dal giorno alla notte. Oggi è un ricco e benestante cittadino con 2 case di proprietà e il cellulare personale (uno status symbol da "ricchi" come potrebbe essere da noi il Porsche Cayenne di Ranzani). Bravura sua o kharma/destino ? La sua risposta è stata "aver saputo cogliere un'occasione e non essersela lasciata sfuggire...".

Preso possesso della camera nell'occidentalissimo (e poco etico per chi giustamente consiglia di evitare grossi Hotel che potrebbero essere di comproprietà dello Stato) Hotel Sedona e fatto un pisolino per recuperare le ore perse con il fuso, nel pomeriggio iniziamo la visita di questo meraviglioso Paese con la Pagoda Chauk Htat Gyi, detta anche del "Buddha Sdraiato", nome dovuto ovviamente ad un'enorme statua del Buddha lunga 72 metri e alta 19 e dove ci soffermiamo a vedere l'opera di restauro/pulizia che dei giovani monaci stanno compiendo sui suoi piedi intarsiati.

Proseguiamo poi per la famosissima Pagoda Shwedagon (o Shwe Da Gon) che io immaginavo come un unico monumento seppur bello, ma che invece si è rivelato un immenso complesso che si sviluppa lungo un perimetro di 450 metri e che non ha nulla da invidiare (e mi ha subito ricordato) il Palazzo Reale di Bangkok. Guglie, tempietti, statue, pagode più piccole si alternano intorno alla stupa centrale, su cui svetta una cupola che sfiora i cento metri di altezza e culmina con un globo d'oro. Il tempio è ovviamente affollato di pellegrini intenti in preghiera che all'inizio ho pudore a fotografare (come se a noi venissero a fotografarci sui banchi di una chiesa, potremmo quasi arrabbiarci), ma o sono abituati o sono così gentili e pacifici che i loro sorrisi rassicuranti mi confortano e mi disinibiscono. Curiose le operazioni di pulizia fatte da volontari sia con particolari scope, sia con moderni pulisci pavimenti coadiuvate da un buffo ometto che impartisce direzioni e coordina i movimenti dei pulitori.

Shwe Da Gon di seraLe ore passano e ti vorresti fermare ad ogni angolo dove vedi scorci e particolari nuovi e quando calano le prime ombre della sera il fascino aumenta ancor di più: il crepuscolo che avanza, la sapiente illuminazione delle pagode, il raccoglimento di decine di fedeli in preghiera, rendono quegli attimi tra i più belli impressi nella nostra mente.

Concludiamo la serata in un ristorante accolti da un losco figuro e dove in teoria si svolge uno spettacolo di danze e marionette (spettacolini a uso e consumo dei turisti che "aborro" e che mi sembrano tutti uguali); dico in teoria perché la nostra attenzione è più rivolta al cibo locale che impareremo a conoscere ed apprezzare; posso dire che è stato uno dei viaggio dove ho mangiato meglio, sia che si trattasse di cibo Birmano (nazionale, Shan, della costa) che di cibo cinese, non ho mai avuto problemi di nessun tipo, mai avuto nostalgie culinarie nostrane e seppure non di grandissima varietà (tutto ruota attorno a quattro pietanze, il famoso PPMM, Pollo Pesce Manzo Maiale) ho sempre gustato e apprezzato tutto (perfino le minestre e le verdure che non ho mai mangiato in vita mia).